paura
Paura,
paura, paura.
Cos’è
la paura?
Ve
lo spiego io, cos’è la paura: non è niente.
La
paura è una bestia con cui ho avuto spesso a che fare, in questi ventitré anni.
Paura di non essere all’altezza, paura di essere preso in giro, paura del buio,
paura di essere da solo. Generalmente, fin da quando ero piccolo, ho avuto dei
problemi a relazionarmi con le persone: all’asilo, perché ero bravo ed educato
(fatto ovviamente intollerabile dai compagni); alle elementari, perché ero
bravo, educato e avevo le gambe storte (ah, i bambini e la loro leggiadra
crudeltà), che ancora ho, per inciso; alle medie, perché ero bravo, educato,
avevo le gambe storte, mi faceva schifo il calcio e non bestemmiavo agli
allenamenti (di calcio: ebbene sì); alle superiori la situazione ha iniziato a
migliorare: di certo non ero il più figo, ed ero abbastanza grasso, oltre che
originale nel modo di vestire (dando spesso retta a mia madre su scarpe
tremende) ma c’erano altre persone come me, e ho superato quella paura di
essere preso in giro, quella vergogna di essere me stesso che avevo fino a quel
momento. Prima, però, ero solo il classico sfigato che chiunque fosse anche
solo vicino allo stereotipo del bullo (che tra l’altro è una parola veramente
brutta, ma non trovo un sinonimo adeguato) si divertiva a prendere per il culo.
Fino, diciamo, alla 1° liceo, quindi, ero lo sfighez. Ero a disagio a stare da
solo, perché mi aspettavo che qualche simpaticone arrivasse a sfottermi per una
motivazione qualunque. Ovviamente con le donne (ragazze, va’) ero il campione
degli imbranati (e non è che adesso la situazione sia migliorata di molto).
Quindi,
questa paura?
La
paura non è una cosa che arriva e sparisce da sola. Siamo noi che la facciamo
sparire, facendoci valere. E vale per maschi e femmine, in un modo o
nell’altro. Questo post è nato sull’onda della lettura (e discussione seguente)
di un articoletto di una webzine che si chiama Soft Revolution, che titola “Gli
uomini non ti proteggono più”, in cui l’autrice sostiene “Quando mi è capitato di parlare di questa
inconfutabile realtà con dei giovani uomini che ci tenevano a specificare di
non considerarsi femministi, ho avuto la netta impressione che non potessero
comprendere di che tipo di paura stavo parlando.” È vero: nessun maschio (o
quasi nessuno… no, dai, guardiamoci in faccia: nessuno) può comprendere la
paura di subire una violenza sessuale. Ma molti maschi (decisamente più di
quanti lo ammettano) possono capire perfettamente la paura. Se i maschi amici
dell’ autrice non ci riescono, vuol dire che hanno la sensibilità di una verza.
Dal momento che capisco perfettamente cosa vuol dire aver paura, e soprattutto
dal momento che se fossi un osservatore delle situazioni descritte
dall’articolo non starei di certo a guardare, mi fa veramente incazzare che il
titolo escluda automaticamente me e quelli come me (vi parrà strano, ma i
maschi eterosessuali sensibili esistono). In pratica, mi fa incazzare (o forse
semplicemente non lo capisco) l’atteggiamento da bicchiere mezzo vuoto di
Margherita (l’autrice del pezzo): la società è una merda e non c’è via di
scampo perché gli uomini non capiscono (e quelli che capiscono non contano,
almeno in questo articolo). O forse non è il titolo a farmi incazzare, ma la
realizzazione che dice la verità: la maggior parte dei maschi non capisce sul
serio.
Dando questo punto per assodato, però, come risolvere
il problema? Prendendo a calci in culo la paura, ecco come! E non adattandoci
alle regole imposteci dal sistema di merda. Quand’ero alle medie c’erano giorni
in cui avevo paura ad andare a scuola, paura ad andare a calcio (che comunque
mi faceva schifo), e soprattutto avevo una paura folle del buio. E non parlo
del buio del bosco di notte (quello era terrore puro): parlo del buio della
cantina di casa mia. Una sera d’inverno, quando fa buio presto, ho deciso che
avrei provato a sconfiggere la paura, nel modo più drastico possibile: quindi
sono andato con mio papà a camminare nel bosco.
Al buio.
Alla terza volta che
lo facevamo non sapevo neanche più cosa fosse la paura del buio. È vero, nel
buio del bosco sul monte di Ragogna non ci sono stupratori potenzialmente in
agguato. E se però non ci fossero neanche nel buio dei vicoli della città? Quale
sarebbe il senso di “essere istruiti a non attirare l’attenzione”? Voglio dire
che nella società odierna potrei uscire da casa mia a Ragogna e venire
accoltellato, per quanto ne so. E potrebbe accadere lo stesso a mia madre, mia
sorella, mio padre o il mio cane. La maggior parte delle violenze avviene da
parte di persone conoscenti, spesso da chi ha la nostra completa fiducia.
La paura è una cosa irrazionale, e se una ragazza ha
paura di essere violentata nessuno potrà togliergliela… tranne lei stessa. Ma
sicuramente chi le vuole bene può aiutarla, parlandogliene e rassicurandola.
Se gli uomini che conoscete “non vi proteggono”, vuol
dire che sono stronzi: mandateli a cagare e frequentate gente con più sale in
zucca.
La paura passa se la fate passare voi. Perché non è
niente.
“Fear, Fear, she’s the mother of Violence,
Don’t make any sense to watch the
way she breed.
Fear, she’s the mother of Violence,
Making me tense to watch the way she
feed.
The only way you know she’s there
Is the subtle flavour in the air.
Getting hard to breathe,
Getting hard to believe in anything
at all
But Fear.”
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